marco valenti scrive

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11 giugno 2012

Attese sospese


Claude Monet - Stazione fumosa

Una città che non è la mia città.

Dopo un paio di giorni di riunioni che hanno richiesto grande attenzione, responsabilità di concentrazione, dopo un buffet conviviale in mezzo a facce note, prossime, amichevoli, la cortesia di chi mi ha ospitato viene fatalmente meno di fronte ai sacrosanti impegni di ciascuno di loro.
Lavoro da sbrigare, impegni familiari, magari soltanto meritata pausa dopo giornate che posso ben immaginare gonfie di fatica proprio per preparare tutto quello a cui ho partecipato, che è andato bene e che ora è terminato.


Mi trovo improvvisamente solo e mi sento svuotato per il lavoro svolto. Sono in una città che amo ma il mio essere un viaggiatore imperfetto mi lascia un tempo lunghissimo da qui al treno che mi porterà in un’altra città che amo ad altre riunioni.
Del resto, di fronte alla opportunità di prenotare il treno precedente mi ero fatto prendere dai soliti scrupoli, ovvero che se la riunione finale avesse avuto problemi di qualsiasi natura e si fosse protratta oltre non avrei potuto seguirla fino alla fine.
Invece, come previsto, tutto è andato per il meglio.
Affronto un tempo di mezzo con troppa stanchezza addosso per intraprendere qualsiasi attività e così mi ritrovo decisamente anzitempo alla stazione ferroviaria.


Trovo un sedile di fronte all’ingresso, mi rammarico che non abbia uno schienale e penso che, forse, è da troppo tempo che faccio lo stesso lavoro e ho la schiena stanca.
Resto lì a trascorrere un tempo sospeso dentro al mio gessato, in una camicia bianca che comincia ad essere stropicciata, allentando  la mia cravatta di Fendi, sfilando la mia Parker dal taschino per provare a buttare giù due righe che tanto non verranno. Non ora. Resto fermo, immobile, col blocco degli appunti sulle ginocchia e una Camel spenta tra le dita, a guardare scorrere la lancette del tempo sul mio orologio migliore.
Sono elegante e stanco e assolutamente incapace di agire o persino di formulare pensieri complessi.
Ipotizzo un altro caffè ma desisto subito dall’idea: non ho bisogno di svegliarmi. serve soltanto che scorra questo tempo sospeso e lungo che mi separa dal ritrovare la comodità del treno.


Mi perdo a guardare le persone che passano, una ad una e a gruppi. Stancamente e supinamente le assorbo e ne immagino provenienze e pensieri, aspettative o paure: gioco a stereotipi.
Studio le facce di chi esce e si guarda attorno per orizzontarsi; immagino vacanzieri anglosassoni fieri dei loro enormi zaini; africani con i loro oggetti da dare via furtivi e ambulanti; badanti asiatiche; coppie più o meno ben assortite; giovanissimi con acconciature improbabili; anziani che tramontano.
Vedo valige, zaini, borse, pacchi, libri, fiori, mercanzie; vedo cosce slanciate e ventri imbolsiti; vedo sandali bassi e tacchi spropositati, posture incerte o nervose, rilassate o decise o stanche; vedo chi arriva e chi parte, chi sa e chi ignora, chi si fida e chi ha paura; vedo i poveri e gli inadatti, gli snob e i business-man. Tutto si mischia: quello che assorbo e ragiono si sfarina in un indistinto.


Non c’è nulla che non vada ma la mia spossatezza è una leggerissima e appena malinconica assenza. Penso per un attimo agli angeli di Wenders che assorbono i pensieri dei cittadini nel cielo sopra Berlino.
Anche se è solo stanchezza non è la prima volta, non sarà l’ultima, e mi piace l’idea di provare a dare una voce anche a questo marginale e forse insignificante appunto di viaggio.

C’è anche questo nel mio viaggiare: non so di altri.

3 commenti:

  1. Gentile Marco Valenti, l'ideale è avere un compare al fianco, Welsbro al polso e gessato marrone solo per le grandi occasioni, quando annoda al collo una cravatta verde smeraldo con il dragone rosso - quella ragalatagli da Laureen - il resto non è che il tempo che non muore e che ritorna, magari in una stazione o in un aereoplano.
    Cordiali saluti.
    ps - vorrei aggiungerla alle mie cerchie amiche su google+ confidando che, oltre alle "avventure" letterarie, lei ami il Jazz, il cinema e...
    ps - che astrusità quel "dimostra di non essere un robot"

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    1. Gentile F. Spada,
      le mie cerchie sono aperte a nuove conoscenze, un certo jazz mi ha aiutato, ho molte più passioni di quanto dovrei permettermi.
      Lascio ad altri il marrone, anche se il gessato - va detto - veste.
      ps: da un certo punto di vista in poi le avventure letterarie sono legittima difesa.

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  2. Bello e delicato ciò che scrivi a volte le parole sono circondate da suoni immaginari che io almeno credo di sentire. Alessandra

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